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Aliyu, l’amico di Beloufa scelto dal caso


Quando è un “testa o croce” a decidere il tuo destino


30/08/2010

di Cristian Vitali

E’ diventato il classico esempio del campione imberbe il cui talento è stato bruciato dalla fretta, offuscato e mal coltivato dalle luci della ribalta, che finiscono sempre per penalizzarti, se non sei pronto. E a sedici anni è molto difficile esserlo. Devi maturare, devi avere il tempo di crescere, se ti fanno bruciare le tappe rischi davvero fortemente di perderti. E’ quel che è successo a Mohammed Aliyu Datti, giovane nigeriano che la fortuna ha prima baciato e poi schiaffeggiato nel giro di poco tempo. Troppo poco, tant’è che l’attaccante di colore ha finito per non capirci più nulla. I provini in Italia, la scommessa di Cesarino Viganò, Presidente del Padova che finì per ingaggiarlo. E lì la fortuna lo baciò in fronte, e con il rossetto sulle labbra. Sì, perché il dirigente si trovò di fronte due talentini nigeriani in erba, e si era arrivati al punto da fare una scelta. Possiamo prenderne uno solo, speriamo che sia quello giusto. Uno era Aliyu, l’altro un certo Garba. Tutti e due attaccanti leggeri e veloci, entrambi guardarono quel signore dall’aria severa, ma in realtà indecisa, ben sapendo di giocarsi una bella fetta del proprio destino. «Quando vidi quei due insieme non sapevo davvero chi scegliere, erano bravi tutti e due. Ma potevo tesserarne solo uno: così a tavola la sera tirammo a sorte. Ed uscì Aliyu». Bim-bum-bam-le-giù: tremendo, a pensarci. Una scelta lasciata al caso: ecco, come spesso avvengono le decisioni nel calcio. Si pensa che a decidere debbano essere accurate selezioni basate su test atletici, giocate, partite e allenamenti condotti da esperti del settore. E invece poi, al tirar delle somme ci si gioca tutto buttandola sul caso, perché non si riesce a scegliere. La paura di sbagliare è troppo forte, io non me la sento, te la prendi tu la responsabilità? Aliyu fu il prescelto, la fortuna lo aveva baciato no? Ma poi arriverà l’esordio in A, i complimenti, il pericoloso accostamento a uno come “Re” George Weah – poiché fu designato come suo erede – e gli innumerevoli elogi di Tassotti e di Zaccheroni che lo avevano allenato. Tant’è che il ragazzo è un po’ frastornato, ubriacato dai fiumi di parole spesi su di lui, lui che di carattere è un po’ introverso. Chi lo conosceva si accorse che si apriva molto solo con Samir Beloufa, suo compagno nella Primavera e altra grande delusione rossonera. Ma era l’amico del cuore: come disse Tassotti, tra i due c’è feeling. E anche il destino li ha accumunati, nella loro intesa. Poi arrivò il momento della verità, e Aliyu finirà per deludere puntualmente ogni anno: arrivò così lo schiaffo della dea bendata, che fa male soprattutto quando tutti ti fanno i complimenti, ti prende alla sprovvista ed esclami incredulo: «Chi è stato?». Monza, di nuovo Milan, poi Siena, quindi il Belgio, che diventa la sua seconda patria, dove gioca e segna qualche gol senza eccellere particolarmente. L’altro nigeriano – quello scartato così per caso, ignorato dalla dirigenza patavina – tal Mast Hashimu Garba, classe 1980, finì al Chievo, senza mai giocare. Poi Pistoiese, Winterthur in Svizzera, Martina, Imolese, Fano, Latina, Spal e Sansovino, disperdendosi nel calcio italiano semiprofessionistico. In fondo, il caso ci aveva visto giusto. Dei due, Aliyu era il migliore, dai. Ma non in senso assoluto.


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