Tutto il peggio del calcio italiano tra equivoci, errori clamorosi e “papere” storiche. Dal 1980 ad oggi.

Calciobidoni del mondo


La spedizione in Sudafrica un vero fallimento annunciato


12/03/2011

di Cristian Vitali

L’occasione e’ ghiotta per dire: da campioni a bidoni. “Bidoni del mondo” titolo’ in maniera inequivocabile il quotidiano “Libero” all’indomani dell’eliminazione dell’Italia al primo turno del Mondiale sudafricano. Che poi sia stata clamorosa o annunciata, non ci sono molti dubbi. Dalle stelle alle stalle: il gruppo vincente e combattivo che conquisto’ il Mondiale 2006 al grido del telecronista Marco Civoli «Il cielo e’ azzurro sopra Berlino!» quattro anni piu’ tardi conoscera’ la delusione più cocente della sua storia. L’esperienza ci insegna che ci vuole tempo per riuscire a vincere, ma pochissimo per cedere lo scettro. Ed infatti, se ci sono voluti ventiquattro anni per tornare sul tetto del mondo, ne sono bastati appena quattro per cadere rovinosamente nel baratro. Con due pareggi e una sconfitta gli azzurri sono stati eliminati dal torneo al primo turno per la sesta volta nella sua storia, fatto che non accadeva da 36 anni ed inoltre, per la prima volta in 17 partecipazioni, senza vincere alcuna partita.
Sul banco degli imputati quasi tutto il gruppo azzurro – fatta eccezione per Di Natale e Quagliarella, che soprattutto nell’ultima gara contro la Slovacchia hanno davvero dato l’anima – ma il responsabile numero uno della Caporetto sudafricana è indubbiamente il C.T. Marcello Lippi, che sapeva benissimo di correre un grandissimo rischio. O la va o la spacca: tra le nuove leve – tra cui il “caso” Antonio Cassano – e il suo gruppo storico, egli ha preferito confermare il blocco della vittoriosa spedizione in Germania, senza considerare che pero’ i “guerrieri” avevano quattro anni in piu’ sulle spalle, ed erano quasi tutti ultratrentenni e ben lontani dall’essere in forma (soprattutto Cannavaro, che proveniva da un pessimo campionato con la Juve). Non a caso il capitano azzurro, a fine torneo, se n’e’ andato a svernare nel campionato arabo, per spendere gli ultimi anni senza ulteriori traumi (e con il portafoglio ben gonfio). Pesano anche scelte discutibili alla vigilia, confermate dai fatti: Pepe e Iaquinta, per esempio. E lasciamo perdere gli infortuni di Buffon e Pirlo, che non possono assolutamente costituire un’attenuante sufficiente.
Alla vigilia l’Italia pareva gia’ a tanti un colosso d’argilla. E gli azzurri un gruppo di giocatori strapagati, quasi senza stimoli, poiche’ appagati da scintillanti successi che pero’ non fanno i conti con il presente. Lippi, poi, ha sbagliato tutto: convocazioni, preparazione, tattica. Pareggio all’esordio contro il Paraguay, per opera di un escluso del calcio italiano (il difensore Alcaraz, scartato da due club diversi in altrettanti provini). La dimostrazione pratica che le motivazioni nello sport fanno la differenza è data poi dai semi-professionisti della Nuova Zelanda – gente che lavora per davvero – che ci obbligano ad un pareggio impensabile. Basti pensare che solo due volte hanno raggiunto la fase finale della Coppa del Mondo: nell’edizione spagnola del 1982 la Nuova Zelanda perse malamente tutte e tre le partite disputate, mentre in quella sudafricana ha ottenuto altrettanti pareggi, e al termine del torneo curiosamente e’ stata l’unica squadra a non subire alcuna sconfitta.
E poi? Largo ai giovani, dice un vecchio adagio. E sono proprio un gruppo di baldi e pimpanti giovanotti, quelli della Slovacchia, che surclassano i nostri attempati atleti. Lippi e’ passato da un indice di gradimento altissimo, acclamato dalla folla dopo il tripudio Mondiale, per poi subire un azzeramento radicale: odiato, criticato, sbeffeggiato. Da tutti. Ha sbagliato tutto, non è stato capace di dare segni di vita nemmeno quando Di Natale e Quagliarella hanno riacceso le speranze al fotofinish. Tuttavia, gli va dato atto che si e’ preso (giustamente) tutte le sue responsabilita’, dando anche – manco a dirlo – l’addio alla panchina della Nazionale: «Mi prendo tutte le responsabilita’. Se in una partita cosi’ importante (quella contro la Slovacchia) una squadra si presenta col terrore nelle gambe, nella testa e nel cuore, e non riesce a esprimersi per come era necessario significa che l’allenatore non l’ha preparata bene sul piano tecnico, tattico e psicologico. La responsabilita’ e’ tutta mia, di chi ha costruito questo gruppo. Ero convinto e avevo voglia di rifare questa esperienza dopo aver vinto il Mondiale. Mi dispiace enormemente, soprattutto per gli sportivi italiani e per la Federazione. Tutto mi sarei aspettato tranne che la squadra si esprimesse in questo modo nel primo tempo, lasciamo perdere la reazione del secondo. Non pensavo di rivincere il Mondiale, ma chiudere il mio rapporto con la Nazionale in questo modo e’ bruttissimo. In bocca al lupo al mio successore e grazie a tutti per questi quattro anni in parte fantastici e in parte molto deludenti».
L’Italia del pallone vista in Sudafrica e’ forse il volto peggiore della societa’ attuale, che non se la passa certo bene: presuntuosa e atterrita, colma di gloria ma con zero umilta’, senza estro e fantasia, senza idee e con poco costrutto. Cosi’ non si va avanti, urge un radicale rinnovamento.
Nell’anno del lancio del libro “Calciobidoni – Non comprate quello straniero”, uscito in libreria proprio in concomitanza con l’inizio dei Mondiali, gli azzurri hanno sciorinato prestazioni orripilanti, che definirle scadenti e’ dir poco. “Non comprate quello straniero”, un monito verso i dirigenti sportivi della Penisola, rei di ignorare i talenti locali per assecondare la febbre esterofila sempre piu’ in voga ogni giorno che passa. Un consiglio che pero’ e’ stato ignorato. Un avvertimento della disgrazia che incombe, il sentore di un fallimento annunciato. Gli azzurri hanno dovuto tornare a casa prematuramente, con le pive nel sacco e accompagnati da una lunga serie di sberleffi, lunghi come tutte le vuvuzelas che hanno assordato i timpani ai tifosi venuti da mezzo mondo, Shakira compresa.
«Ci faranno cavalieri della vergogna», disse Gattuso con molta autocritica. In effetti da campioni a bidoni (del mondo) il passo e’ stato breve, e senza alcuna minaccia di smentita. Johannesburg non è lontana da Berlino solo per la distanza, ma anche per merito, dignità e consistenza. Doti, queste, che da tempo hanno ormai abbandonato il derelitto mondo del calcio italiano.


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