Tutto il peggio del calcio italiano tra equivoci, errori clamorosi e “papere” storiche. Dal 1980 ad oggi.

Viorel Nastase, “ubriaco” di libertà e in fuga continua


Il primo rumeno del campionato italiano perennemente impegnato tra discoteche, sesso, bevute e scappatelle


16/03/2015

di Cristian Vitali

Oggi in pochi se lo ricordano davvero, eppure Viorel Nastase fu il primo rumeno nella storia del campionato italiano. Un capostipite che però fallì miseramente. Fallì, nonostante il discreto curriculum, perché fu accecato dagli effetti collaterali della libertà, quella che nel suo Paese era assai limitata a causa del regime imposto da Nicolae Ceausescu, colui che in Romania instaurò una dittatura caratterizzata da un clima di continue privazioni. Viorel, poi, che era anche di indole liberale, soffriva oltremodo tali oppressioni, e ben presto matura di scappare dal suo Paese. E a Catanzaro, dove poi arrivò in seguito, trovò invece libero sfogo e si immerse completamente nella dolce vita, figlia del lassismo più sfrenato della libertà. Ma si sa, una vita sregolata mal si integra con i ritmi ferrei imposti da uno sportivo professionista.

PRIMI CALCI – Viorel, quindi, dopo aver bruciato le tappe nel Progresul, passa allo Steaua dove, da seconda punta, si costruisce una buona fama di bomber. Indimenticabile una gara di Coppa delle Coppe contro il Barcellona al Camp Nou, quando realizzò il gol vittoria. Sarà poi dopo la vittoria in Coppa di Romania nel 1979 che decide di fuggire, stanco delle continue angherie tipiche del regime. Approfitta di una trasferta in Svizzera, dove lo Steaua deve giocare il primo turno di Coppa delle Coppe contro lo Young Boys: al termine della gara, terminata sul punteggio 2-2, lascia il ritiro di Berna senza dir nulla a nessuno e poi chiede asilo politico al governo svizzero, rifiutandosi di tornare nel suo Paese.
RIPARTENZA TEUTONICA – Alla fine, a causa di questa sua sortita resta fermo un anno, ma poi nel 1980 riesce a guadagnare la tanto agognata libertà trovando un ingaggio nella vicina Germania, al Monaco 1860, dove andrà a formare un’interessante coppia d'attacco al fianco di un giovane di belle speranze, un certo Rudi Voller. Segna 14 gol, in quella che sarà la sua stagione migliore, ma la squadra retrocede. Non c’è per lui il tempo di assaporare il lato più dolce della libertà, anche perché il rigore teutonico riesce a tenerlo lontano dalle distrazioni, spesso fatali.
ARRIVA LA CALABRIA – Con la squadra in B, il Monaco deve cedere alcuni pezzi pregiati; tra questi, Viorel, che viene appetito dal Catanzaro del Presidente Adriano Merlo, rimasto orfano del mitico Palanca. I tifosi chiedono un degno sostituto e il massimo dirigente giallorosso, seguendo la neo moda esterofila, opziona il rumeno, all’epoca ben quotato. Lo acquista per la somma di 400 milioni di Lire, attirando molti curiosi intorno alla squadra, tutti desiderosi di ammirare questo campione dell’area di rigore. Si presenta in ritiro agli ordini del giovane tecnico Bruno Pace senza parlare una parola d’italiano, ma dando una buona impressione: il fisico possente, la buona tecnica e soprattutto, il suo piede mancino (come Palanca) fanno ben sperare. Nelle prime cinque giornate di campionato il rumeno non segna ma si batte bene, preludio a un gol che arriva presto. Alla sesta di campionato, infatti, si sblocca: una cannonata di sinistro batte il portiere Giuliani del Como. Ironia della sorte, però, nella stessa gara subisce un brutto infortunio: l’intervento falloso di Silvano Fontolan gli procura la frattura della tibia e i conseguenti sei mesi di stop. Lui che è abituato a giocare senza parastinchi e con i calzettoni abbassati, patisce le amare conseguenze di tale rischio: campionato praticamente finito. Ed è in questo preciso istante che Nastase si trasforma. Già, l’Italia non è la Germania, il Belpaese è molto più free, e in più il rumeno non potendo giocare trova il modo di trascorrere il tempo della convalescenza e assapora tutto ciò che il regime rumeno non gli ha mai permesso di conoscere. Invece di passare la maggior parte del tempo in una palestra per la riabilitazione, comincia a frequentare discoteche e locali sul lungomare. Essendo comunque un idolo, le donne non gli mancano, e la villa che la società gli ha messo a disposizione diventa apprezzato teatro di una serie di serate a base di cene pantagrueliche (pare adorasse soprattutto le cozze, non intese come donne, ovviamente) e di litri (fiumi) di birra. Purtroppo le conseguenze sono una pena, e al suo rientro, a marzo, Nastase non è più lo stesso. Non “vede” più la porta, è visibilmente ingrassato e appesantito. Di gol neanche a parlarne. Per fortuna il Catanzaro non ne sente la mancanza grazie all’esplosione del giovanissimo Edi Bivi, che vive un anno in stato di grazia mettendo a segno ben 12 reti, grazie alle quali ottengono un onorevole 7° posto, il miglior piazzamento nella storia dei giallorossi. Il tecnico Bruno Pace, insospettito dalla sua condotta, una sera andò a cercarlo per provare a redimerlo. Dovette arrendersi di fronte all’evidenza: «Mi avevano avvertito che Nastase era ubriaco in discoteca. Andai subito a controllare e lo trovai sotto il tavolo, sfatto. Mi offrì da bere. Scrissero sul giornale che ero andato anch’io a bere e scoppiò un casino indicibile...».
RAPIDO DECLINO – L’anno seguente viene confermato, ma a confermarsi è il suo scarso feeling sottoporta e quel vizietto di amare bere (birra) e mangiare (i gol). In un campionato disastroso che si concluderà con la retrocessione all’ultimo posto, in quello che sarà a tutt’oggi ultimo campionato di Serie A disputato dal Catanzaro, Nastase segna una sola rete: all’Avellino al “Ceravolo”. Si gioca la quattordicesima giornata quando il rumeno entra con il numero 16 tra una marea di fischi. Vi è una mischia, lui è come al solito davanti al portiere avversario in fuorigioco. Un difensore dell'Avellino senza accorgersene gli passa involontariamente la palla. Incredulo il rumeno, spaesato il portiere, Stefano Tacconi, fatto sta che per Nastase è un giochetto insaccare. Ma nonostante i proclami di Merlo, che a suo parere, in B “farà la differenza”, la realtà è ben diversa. Tra fughe dai ritiri, indigestioni sospette e tasso etilico da scaricatore di porto, il romeno trova il tempo per giocare, come l'anno precedente, appena 8 partite (con il solito golletto), prima di fuggire dal ritiro del Catanzaro nel febbraio del 1984, mentre la squadra precipita verso la C1. Inizialmente nessuno si allarma: non è la prima volta che il romeno scappa dal ritiro per qualche appuntamento galante, o per un solitario rendez-vous con una bottiglia di alcool. Solo che questa volta non ha fatto ritorno, bissando quella volta in Svizzera. Per la Società non è un problema, anzi. Il contratto termina a Giugno e finisce a naturale scadenza, senza rimpianti di nessuno.
SEMPRE IN FUGA – Da allora, di lui si sa solo che ha giocato 3 gare nel 1984 con il Salisburgo (oggi di proprietà della Red Bull, che ne ha cambiato denominazione). Poi, smesso con il calcio giocato, su di lui cala il silenzio per diversi anni. Una leggenda metropolitana racconta che aprì in società con un austriaco una “casa chiusa” vicino a Salisburgo poi, con la caduta del regime di Nicolae Ceaucescu nel 1989, ne approfittò per ritornare in Romania ed aprire diversi locali a luci rosse nella capitale rumena. Si dice anche che sia stato arrestato e imprigionato per truffa aggravata. Riemerge dall'oblio nel 2005, come allenatore del Callatis Mangalia, club di terza divisione, di cui l’anno seguente ne diventa Direttore Sportivo. Anni dopo Emanuele Ferragina riferisce di averlo incontrato nella periferia di Buenos Aires, in Argentina, come allenatore di un club di ragazzini. Lo stesso Farragina su Uscatanzaro.net riporta una chiacchierata con lui, dove spiega i motivi del suo declino: «Il tuo paese, ragazzo, è stato il mio primo sorso di libertà. Un sorso così lungo da ubriacarmi. Il mio desiderio di assaporare la vita, mi portò all’eccesso, e così per scappare dal comunismo sono diventato schiavo dell’alcool e della finta libertà del mondo occidentale. Sono stato ingenuo ma questo non conta più. Ora mi piace vivere all’ombra di me stesso. Vivere nell’oblio. Da quando sono in Argentina non ho parlato con nessuno di questa storia. Nessuno dei miei ragazzi conosce il mio passato di calciatore professionista, nessuno conosce il mio viaggio di sola andata dal successo alla polvere».
Come spesso accade ai calciatori che si fanno travolgere dalla bella vita, con il tempo la maturità li trasforma, li riporta in pace con se stessi, li tranquillizza, gli fa trovare il giusto equilibrio, facendogli pentire delle proprie disavventure giovanili. Nel suo caso, però, è sembrato un uomo sempre tormentato, in perenne fuga da se stesso.


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