Tutto il peggio del calcio italiano tra equivoci, errori clamorosi e “papere” storiche. Dal 1980 ad oggi.

Caraballo, meglio perderlo che trovarlo


La storia curiosa e densa di aneddoti di uno dei più clamorosi bidoni della storia del calcio italiano, conosciuto ancora oggi


08/04/2015

di Cristian Vitali

Jorge Caraballo è passato alla storia come una delle presenze più imbarazzanti della Serie A degli ultimi trent’anni. Doveva essere il biglietto da visita di Adolfo Anconetani, figlio di Romeo, e invece si trasformò in un boomerang impazzito. A Pisa ancora oggi è ricordato come il bidone per eccellenza. E come dimenticare che nacque il 5 maggio, data fatidica passata alla storia per la debacle nerazzurra dell’Inter (ma guarda un po’, esattamente gli stessi colori sociali del Pisa) che perse nel 2002 lo Scudetto facendo praticamente harakiri contro la Lazio, quasi vent'anni dopo il suo arrivo in Italia? La storia, si sa, è piena di corsi e di ricorsi, di analogie e assonanze che spesso appaiono decisamente nefaste. Ma andiamo con ordine, ripercorrendo quella che sicuramente è una delle storie più buffe tra le “bufale”.

HO FATTO TREDICI – Nel 1982 il Pisa torna in Serie A dopo tredici anni di assenza: nel frattempo si sono da poco riaperte le frontiere per gli stranieri nel nostro calcio, ed è così che il Presidentissimo Romeo Anconetani, personaggio pittoresco ma grande intenditore di calcio, decide di rinforzare la squadra con due giocatori non italiani. Il primo è il danese Klaus Berggreen, ottima ala che parteciperà anche a due Campionati Europei e ad una Coppa del Mondo con la sua Nazionale e giocherà anche con Roma e Torino. Il secondo, invece, è il disastroso mediano Jorge Washington Larrosa Caraballo, che pur giocando appena 7 partite in Italia entrerà nella storia della società come lo straniero più pittoresco ed improbabile che ne abbia mai vestito la maglia nerazzurra. Ancora oggi, infatti, è oggetto di scherno: è entrato nel tessuto sociale pisano poiché viene citato quando si vuole indicare una persona poco affidabile: «Quello è ‘ome ‘araballo: mejo perdilo ’he trovallo».
LA “MISSIONE” FRANCESCOLI – C’è da dire che la differente qualità dei due stranieri del Pisa di allora ha una spiegazione logica: mentre l’acquisto di Berggreen è opera del vulcanico Presidente Romeo, l’acquisto del secondo fu opera del figlio di quest’ultimo, Adolfo – causa incombenti impegni paterni – il quale, a differenza del padre, non era affatto una vecchia volpe del calcio, bensì un giovane sprovveduto ed inesperto, tanto che Caraballo sarà il suo primo ed ultimo acquisto per la società. Appena arrivato in Uruguay, Adolfo, che ha in mano un dossier su Francescoli, obiettivo dichiarato dal padre, si fece invece convincere da un tassista (alcuni dissero addirittura un barbiere) che un certo Caraballo è un piccolo fenomeno. Fiutando (come?) l’affare, ecco che Adolfo abbandona gli obiettivi societari e acquista il giocatore dal Danubio portandolo in Italia, ritenendo di aver fatto un vero colpo. Il giocatore, appena atterrato in Italia all’Aeroporto di Pisa, si trova sommerso da una folla di tifosi entusiasti, ancora eccitati dalla vittoria dell' Italia nel Mundial: era infatti il 16 Luglio 1982.
ARRIVA L'URUGUAYANO – Sarà proprio per l'entusiasmo della città che Caraballo durante la presentazione si lancia in un paragone a dir poco coraggioso: «Sarò il vostro Schiaffino» dichiara. Promette di infiammare l’Arena Garibaldi con il suo spirito battagliero, la “garra”, che in Uruguay rappresenta la tenacia, la virilità, il non mollare mai anche quando tutto sembra perduto: «Difficilmente potrò segnare quanto in Uruguay – avvertì il giocatore – ma vi farò volare. In onore del Pisa chiamerò mia figlia Vittoria». Adolfo lo presenta come “Il Caravaggio del pallone”, asserendo che “usa i piedi come il pittore il pennello”. Al di là delle esuberanti affermazioni di rito, Caraballo era in realtà un ragazzo chiuso, poco propenso a socializzare, che mostrerà evidenti difficoltà di ambientamento in un nuovo paese. Non è un caso che non esce mai di casa, rimanendo spesso da solo con la moglie.
UN GIOVANE TIMIDO – Il mancato ambientamento e un incedere esageratamente compassato lo tagliano praticamente fuori squadra dopo poco, nonostante i buoni mezzi tecnici e fisici. L’allenatore di quel Pisa era Luis Vinicio, una vecchia volpe che fiuta subito qualcosa che non va. Egli ha bisogno di giocatori molto più dinamici e si rende conto che questo non lo può ottenere da Caraballo. In più, va detto, non è che con i piedi sia un fenomeno. Si spera almeno nel carattere. Ma dopo la prime, timide, apparizioni, Vinicio lo fa entrare per l’ennesima volta nei minuti finali (dopo aver “giocato bene nell’intervallo”, immaginiamo), e l’uruguayano, come tutta risposta, si mette a piangere e a gridare istericamente che se ne vuole andare perché nessuno lo capisce. Partono allora subito i primi cori di scherno dei tifosi: “Caraballo gioha bene nell’intervallo”, ed il ragazzo in effetti non fa molto per riabilitarsi, inanellando una serie di partite che Anconetani, qualche anno dopo, definirà “a dir poco pietose”, se non addirittura “oscene”. Vinicio lo lascia spesso fuori, ed i risultati gli danno ragione: senza Caraballo la squadra gioca meglio ed ottiene anche alcune vittorie di prestigio. Il gruppo inoltre sembra giovarne, visto che l’uruguagio non ha affatto carattere e non si integra con i compagni: si racconta, ad esempio, che alcuni giocatori del Pisa, durante una nevicata nel ritiro di Volterra, gli scagliarono una serie di palle di neve contro, ma lui, invece di riderci sopra, ebbe quasi una crisi isterica. Non giocando quasi più, per farlo comunque mantenere in forma pare che fu relegato nella formazione Primavera, e si racconta che facesse panchina anche lì.
ERRORE DI RIGORE – Come ogni riserva che si rispetti, Caraballo ha una possibilità in Coppa Italia, torneo che le squadre utilizzano spesso, soprattutto quelle cosiddette “piccole”, per testare i giocatori meno utilizzati, ed è qui che la sua carriera giunge ad un bivio: Pisa e Bologna sono sullo 0-0 e mancano pochissimi minuti alla fine quando viene fischiato un rigore a favore dei toscani. Caraballo, diversamente da come si era fatto conoscere, risfodera una “garra” che sembrava ormai sopita: con decisione si avventa sul pallone e lo fa suo, portandosi verso il dischetto e fissando, con aria decisa, la panchina. L’allenatore, Vinicio forse vuole illudersi che il ragazzo sia ancora recuperabile, che un gol cambierebbe tutto, che perlomeno quello sguardo significherà qualcosa. E annuisce. Caraballo piazza il pallone sul dischetto, prende la rincorsa ma tira uno dei peggiori rigori di sempre, una cannonata che finisce direttamente in Curva. Il pubblico, pure quello pisano, ride a crepapelle, in un momento quasi drammatico per lui. Un’altra sua perla che viene ricordata è un’improbabile tentativo di rovesciata da trequarti di campo, dove il giovane uruguayano cicca clamorosamente il pallone e la botta subita per la caduta costringe addirittura a far intervenire il personale medico al punto tale da dover essere sostituito.
INEVITABILE FUGA – La delusione, già evidente, aumenta in lui al punto tale che una domenica sera la squadra torna da una trasferta (alla quale non aveva preso parte non essendo stato convocato, ufficialmente per un infortunio al ginocchio) e al lunedì mattina non lo trova all’allenamento. Inutilmente la società tenta di raggiungerlo al telefono, poi alcuni dirigenti si recano a casa del calciatore per scoprire che fine abbia fatto, e quello che trovano è la casa completamente vuota tranne che un terrazzo dove, in alcune gabbie, sono tenuti piccioni, conigli e polli.
Così come Luis Silvio Danuello, che lasciò l’Italia anzitempo, Caraballo tornò mestamente in Sudamerica, dove continuerà l’indegna carriera in campionati e squadre sempre piu’ infimi fino al definitivo ritiro. Ironia della sorte, il Pisa senza Caraballo tra i piedi firmerà uno storico undicesimo posto che a tutt’oggi è il suo miglior piazzamento in Serie A. Famosissima la leggenda che lo vede impiegato come tassista per sbarcare il lunario, e se fosse vero si sarebbe così chiuso un cerchio: in un taxi, quello preso da Anconetani Junior, la sua carriera aveva preso il volo, e sempre in un taxi fu destinata a finire.


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