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Rambert-Zanetti, uno campione, l’altro bidone. Al contrario


“Avioncito” asso, Zanetti insignificante. Così si credeva


12/03/2009

di Cristian Vitali

Correva l’anno 1995, gli albori dell’era Moratti (Massimo), che da pochi mesi era subentrato ad Ernesto Pellegrini alla guida dell’Inter. Con l’avvento del petroliere, si pensò che fosse ormai terminato il periodo di crisi, contraddistinto da una cronica carenza di successi. La storia degli eventi ci ha palesato però che ci vorranno molti anni prima che la squadra nerazzurra ricominci effettivamente a vincere qualcosa. E questo anche perché Moratti si è spesso lanciato nell’acquisto “a scatola chiusa” di parecchi giocatori sconosciuti, o potenziali campioni che campioni non erano, ascoltando solo delle “voci” di corridoio, che nella maggior parte delle volte si sono rivelate fasulle. In più di qualche occasione, l’acquisto di un giocatore ne comportava il contemporaneo ingaggio di un altro, solitamente meno famoso. In alcuni casi si trattava di atleti affermati che ponevano come condizione l’ingaggio di un amico che “per caso” faceva il calciatore, mentre in altri, convinti di essere grandi esperti di mercato, prendevano l’iniziativa (non voluta) di consigliare il nominativo di qualche giocatore all’entourage nerazzurro. Stiamo parlando delle famose coppie Ronaldo-Gilberto, Recoba-Pacheco, e Farinos-Peralta, tanto per fare degli esempi. Ma il caso più eclatante è quello del duo Zanetti-Rambert. Tra quest’ultimi, pare che il vero obiettivo della dirigenza fosse il secondo, considerato al tempo un attaccante di sicuro valore. Javier Zanetti, invece, non era nessuno. Era una promessa come Rambert, certo, ma non aveva le credenziali di cui godeva l’attaccante. Una leggenda metropolitana racconta che entrambi facessero parte dello stesso “pacchetto”, e che in buona sostanza l’acquisto di Zanetti, all’epoca sconosciuto, sia stato determinato solo dalla volontà di acquisire Rambert. In altre parole: l’ingaggio di Zanetti era soltanto un sordido modo per arrivare al centravanti argentino. In realtà i due giocatori militavano in club diversi. La storia vuole che a segnalare entrambi a Moratti sia stato Antonio Valentin Angelillo, anche lui argentino, ex bomber interista. Il duo, costato complessivamente una decina di miliardi di Lire, fu presentato il 5 Giugno 1995 a Milano: al primo impatto sembrò Zanetti il comprimario, perché le maggiori attenzioni di stampa e tifosi erano naturalmente rivolte a Rambert, attaccante che in Argentina si era guadagnato il soprannome di “Avioncito”, cioè aeroplanino, perché dopo ogni gol, per esultare allargava le braccia come fossero ali d’aereo. I fatti dimostrarono l’esatto contrario di quel che si pensava. Mentre Javier – lo sconosciuto – sgroppava con sorprendente autorità sulla fascia destra, Sebastian – glorificato come il nuovo fenomeno del calcio argentino, un attaccante dall’istinto micidiale – dopo pochissime gare, dall’inquietante Inter-Lugano 0-1 di Coppa Uefa fino al dimenticato Fiorenzuola-Inter 1-2 di Coppa Italia, se ne tornò a casa senza mai aver provato la gioia del gol, vivacchiando senza infamia e senza lode, per poi ritirarsi prematuramente nel 2003. E Zanetti lo sconosciuto? Si è fatto conoscere eccome: ad oggi è il Capitano e la “Bandiera” indiscussa dell’Inter, l’unico degli innumerevoli acquisti dell’era Moratti a non aver mai più cambiato maglia. Molti lo dipingono addirittura come degno erede del compianto Giacinto Facchetti, anche per la sua serietà e professionalità, che gli ha permesso di diventare l’emblema positivo dei nerazzurri. Ricordando i giorni del suo arrivo in Italia, Zanetti confidò in un’intervista: «Forse sono stato solo più fortunato di Sebastian – disse con la classica modestia che l’ha sempre contraddistinto – lui è comunque un buon giocatore, che non è riuscito a sfondare nell’Inter anche perché era reduce da un brutto infortunio al ginocchio. E in ogni caso giocare in Argentina non è mica una brutta cosa. Io sono partito subito forte e l’Inter penso di essermela guadagnata: mi ha sempre motivato moltissimo l’idea di giocare nel campionato più difficile del mondo». Una bella lezione da parte di Javier, che ci insegna che quando ci sono carattere, qualità, grinta e determinazione, non c’è bisogno di acquistare presunti nomi di grido, poiché spesso dietro ad una buona nomea si nasconde un “bidone” clamoroso.


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